La Galleria d’Arte di Ferruzzi e quella dei fratelli De Marco, ambedue attive nella zona di San Vio, espongono in contemporanea una selezione di opere di alcuni protagonisti del Novecento con il lodevole proposito di sollecitare un nuovo interesse per una non più derogabile rivalutazione di queste figure che avevano del resto contrassegnato la storia della pittura veneziana di quel tempo ma che, oggi, è stata in gran parte dimenticata o emarginata, se non addirittura – come è accaduto – sfrattata dalle locali istituzioni museali e reclusa, purtroppo, in una sede-deposito in terraferma Un destino tanto ingiustificato quanto inspiegabile ha colpito negli ultimi decenni molti di quegli esponenti, specie di coloro che pure hanno validamente operato praticando un linguaggio – non poteva essere altrimenti – di impronta ancora figurativa ma non meno però innovatrice in quanto parimenti aggiornata sulle tendenze allora maggiormente circolanti in Italia e in Europa, dall’impressionismo al cubismo, dal fauvismo all’espressionismo.
(Toni Toniato)
La città, ritratta da questi artisti nel loro silenzioso percorso segreto, è tutta dentro alla contemplazione immobile della ‘veduta’ che solo la pittura riesce a rappresentare quale trasposizione presente di un istante remoto. Partendo da quel sentimento pittorico, che segna la fine dell’Ottocento e apre al secolo della modernità, sono presenti in questa mostra alcuni emblemi ‘neovedutisti’ di Guglielmo Ciardi nei quali è ancora possibile individuare «quel controluce che disegna i contorni e stacca i rilievi», evocato dal poeta Diego Valeri, ma nei dipinti di Guglielmo è riscontrabile anche un altro elemento della pittura di paesaggio: l’immobilità della scena. Il pittore fissa sulla tela la dimensione di una ‘città apparentemente immutabile’ e il segno ferma l’attimo in cui l’estetica della contemplazione assume un personale atto d’amore verso la natura e verso l’infinito.
(Stefano Cecchetto)